Il rapporto Brundtland e lo sviluppo sostenibile (Dario Landi – 29.06.2017)

Il soddisfacimento dei bisogni e delle aspirazioni umane costituisce il principale obiettivo
dello sviluppo. Se il consumo sostenibile diverrà il criterio con il quale misurare i progressi
della nostra società, allora si apriranno orizzonti di speranza per noi e per le future
generazioni.
Nel 1983, in seguito a una risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, fu
istituita la Commissione Mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo, che aveva l’obiettivo di
elaborare un’agenda globale per il cambiamento. La Commissione era presieduta dalla
norvegese Gro Harlem Brundtland, e nel 1987 pubblicò un rapporto, il Rapporto Brundtland
“Our Common Future”, che introduce il fondamentale principio dello sviluppo sostenibile.
Dopo che tale principio è stato accettato ufficialmente dall’ONU come concetto che
racchiudeva in se il tentativo di costruire una teoria generale dell’intervento finalizzato a
rendere compatibili ambiente ed economia, si è osservata una inversione di tendenza nella
politica economica delle nazioni industrializzate, nel senso che lo sviluppo non è più fondato
esclusivamente su logiche di mercato, ma su criteri oggettivi di eco-sostenibilità.
Con l’affermarsi del principio di sviluppo sostenibile, le politiche ambientali superano una
visione strettamente difensiva e di contrapposizione rispetto allo sviluppo senza limitazioni,
per avviare un processo di politiche proattive mirate a attivare strumenti per l’integrazione
tra ambiente, sviluppo economico e contesto sociale.
Se si accetta, in prima approssimazione, una definizione di sviluppo sostenibile che fa
riferimento alla costanza del capitale naturale rinnovabile (e quindi al non superamento
della capacità di carico degli ecosistemi) ed all’uso prudente del capitale naturale non
rinnovabile, di cui va massimizzata l’efficienza d’uso e che va consumato comunque in
misura non superiore alla sua sostituibilità dimostrata, ci si deve porre il problema di come
portare gli attuali sistemi economici insostenibili su sentieri di sostenibilità.
Non esiste, infatti, una unica modalità secondo la quale un sistema economico è sostenibile,
ma una serie di sostenibilità locali, che devono, inoltre, essere rese compatibili con alcune
grandi questioni globali.
Ma come è possibile armonizzare la crescita economica con uno sviluppo che al tempo
stesso rispetti le esigenze dell’ambiente e delle future generazioni? Secondo Brundtland,
esiste una sola strada ed è quella di delineare strategie di progresso che portino ad una
maggiore prosperità nel senso più ampio del termine arricchendo l’ambiente e la vita di
miliardi di persone.
Obiettivi di queste strategie di progresso sono la suddivisione delle risorse in modo che tutti
i popoli possano godere di livelli di vita accettabili, il passaggio dall’approccio “usa e getta” a
quello “dalla culla alla tomba” che presuppone l’incremento di prodotti durevoli e riciclabili,
il passaggio dalle fonti energetiche non rinnovabili a quelle rinnovabili e l’accelerazione dello
sviluppo di tecnologie che consentano un utilizzo efficiente dell’energia, il trasferimento di
risorse tecnologiche e finanziarie ai paesi in via di sviluppo.
L’elemento più innovativo consiste proprio nell’aver individuato una strettissima
corrispondenza tra degrado ambientale e povertà, tra emarginazione e iniquità nell’accesso
alle risorse naturali e tra tutti questi elementi e la sicurezza e la pace nel mondo. Quella del
Rapporto Bruntland è una definizione del tutto generale per un approccio unitario allo
sviluppo e all’ambiente, in base alla considerazione che un ambiente degradato e
depauperato nelle sue risorse non può garantire uno sviluppo durevole e socialmente
accettabile.
Una società può compromettere in vari modi la propria capacità di soddisfare in futuro i
bisogni essenziali dei suoi membri, per esempio sfruttando eccessivamente le risorse. Lo
sviluppo tecnologico può dare soluzione ad alcuni problemi immediati, ma aprirne di ancora
maggiori. Ampi settori della popolazione possono essere emarginati da uno sviluppo male
inteso. Numerosi interventi umani sui sistemi naturali (deviazioni di corsi d’acqua,
estrazione di minerali, immissione di gas nocivi nell’atmosfera, ecc.) oggi sono assai più
incisivi quanto a scala e impatto e rappresentano una grave minaccia per i cicli ecologici alla
base della vita sul piano sia locale sia planetario. Occorre che questo non si verifichi più. Uno
sviluppo sostenibile deve perlomeno non apportare danni ai sistemi naturali, che
costituiscono la base della vita sulla Terra, vale a dire l’atmosfera, le acque, il suolo e gli
esseri viventi.
Non esistono precisi limiti alla crescita in termini di popolazione o uso di risorse, superati i
quali si ha il disastro ecologico. Per il consumo di energia, materie prime, acqua e terra
valgono limiti differenti; molti di essi si manifestano in forma di costi crescenti e profitti
calanti, anziché in forma di un’improvvisa scomparsa di una base di risorse.
Per quanto riguarda le risorse non rinnovabili, come combustibili fossili e minerali, il loro uso
riduce le riserve di cui le future generazioni potranno disporre. Ciò però non significa che tali
risorse non vadano usate. Nel caso di minerali e combustibili fossili, il ritmo di diminuzione e
l’importanza da attribuire al riciclaggio e all’economia d’uso andrebbero calibrati in modo da
assicurare che la risorsa non si esaurisca prima che siano disponibili sostituti accettabili.
In merito alle tematiche energetiche è essenziale trovare al più presto un accordo su un
sistema di prezzi dell’energia che tenga conto dei costi ambientali.
Un altro aspetto fondamentale è il rispetto del principio “chi inquina paga”. Uno dei modi
per tradurlo in pratica, afferma Brundtland, consiste nel rendere più costosi i consumi non
sostenibili.
In sostanza, lo sviluppo sostenibile è un processo di cambiamento nel quale lo sfruttamento
delle risorse, l’andamento degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i
mutamenti istituzionali sono in reciproca armonia e incrementano il potenziale attuale e
futuro di soddisfazione dei bisogni e delle aspirazione umane.
Dario Landi
Socio Ordinario Ass.I.E.A.

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