AUDIZIONE 4 febbraio 2016. Camera dei deputati. VIII Commissione Ambiente, Territorio e lavori pubblici. Osservazioni alle modifiche proposte dalla Commissione UE sull’economia circolare nel settore rifiuti

A fronte del poco tempo a disposizione, e considerando che l’unica direttiva oggetto di sostanziali modifiche
proposte dalla Commissione è la Dir. Quadro 2008/98/CE, le nostre osservazioni si sono concentrate su tre
temi che ritengo di particolare rilievo anche a fronte dell’esperienza maturata in particolare in questi ultimi
cinque anni (DLvo 205/10 di recepimento della Dir. 98/2008/CE) dall’applicazione di questi istituti nel nostro
Paese: “Preparazione per il riutilizzo”, “Sottoprodotti” e “Responsabilità estesa del produttore dei rifiuti”.


1) PREPARAZIONE PER IL RIUTILIZZO
Mentre l’originaria definizione di cui all’art. 3 n. 16 della Dir. 98/2008 definiva “«preparazione per il riutilizzo»
le operazioni di controllo, pulizia e riparazione attraverso cui prodotti o componenti di prodotti diventati
rifiuti sono preparati in modo da poter essere reimpiegati senza altro pretrattamento”, l’ art. 3 n. 16 della
Proposta di Direttiva quadro definisce “«preparazione per il riutilizzo» le operazioni di controllo, pulizia o
riparazione effettuate ai fini del recupero attraverso cui i rifiuti, i prodotti o i componenti di prodotti che sono
stati raccolti da un gestore riconosciuto della preparazione per il riutilizzo o nell’ambito di un sistema
riconosciuto di cauzione‐rimborso sono preparati in modo da poter essere riutilizzati senza altro
pretrattamento” (così recita invece l’attuale testo dell’art. 183 lett. Q del DLvo n. 152/06: “q) “preparazione
per il riutilizzo”: le operazioni di controllo, pulizia, smontaggio e riparazione attraverso cui prodotti o
componenti di prodotti diventati rifiuti sono preparati in modo da poter essere reimpiegati senza altro
pretrattamento”).
Anche alla luce dell’esperienza maturata nel nostro Paese e, specialmente, in considerazione del fatto che la
preparazione per il riutilizzo rappresenta sin dal 2008 in Europa (e dal dicembre 2010 in Italia) addirittura la
seconda priorità nella gerarchia della corretta gestione dei rifiuti (inferiore solo al “riutilizzo” ma superiore al
“recupero di materia” e, quindi, alla stessa raccolta differenziata!), ritengo fondamentale che l’attuale
definizione sia la più chiara possibile per evitare quel che è successo in Italia, ove in cinque anni non siamo
nemmeno riusciti a “partorire” il relativo DM che avrebbe dovuto, sin dal giugno del 2011, regolamentare
l’istituto, che attualmente risulta essere sostanzialmente inapplicato.

Articolo 180‐bis (Riutilizzo di prodotti e preparazione per il riutilizzo di rifiuti)

1. Le pubbliche amministrazioni promuovono, nell’esercizio delle rispettive competenze, iniziative
dirette a favorire il riutilizzo dei prodotti e la preparazione per il riutilizzo dei rifiuti. Tali iniziative
possono consistere anche in:

a) uso di strumenti economici;

b) misure logistiche, come la costituzione ed il sostegno di centri e reti accreditati di
riparazione/riutilizzo;

c) adozione nell’ambito delle procedure di affidamento dei contratti pubblici, di idonei criteri, ai sensi
dell’articolo 83, comma 1, lettera e), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e previsione delle
condizioni di cui agli articoli 68, comma 3, lettera b), e 69 del medesimo decreto; a tale fine il Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare adotta entro sei mesi
dalla data di entrata in
vigore della presente disposizione i decreti attuativi di cui all’articolo 2 del Ministro dell’ambiente e della
tutela del territorio e del mare in data 11 aprile 2008, pubblicato nella G.U. n. 107 dell’8 maggio 2008;

d) definizione di obiettivi quantitativi;

e) misure educative;

f) promozione di accordi di programma.

2. Con uno o più decreti del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto
con il Ministero dello sviluppo economico, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono adottate le ulteriori misure necessarie per promuovere il
riutilizzo dei prodotti e la preparazione dei rifiuti per il riutilizzo, anche attraverso l’introduzione della
responsabilità estesa del produttore del prodotto. Con uno o più decreti del Ministero dell’ambiente e
della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281, adottarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente
disposizione, sono definite le modalità operative per la costituzione e il sostegno di centri e reti
accreditati di cui al comma 1, lett. b), ivi compresa la definizione di procedure autorizzative semplificate
e di un catalogo esemplificativo di prodotti e rifiuti di prodotti che possono essere sottoposti,
rispettivamente, a riutilizzo o a preparazione per il riutilizzo.)

Importante è segnalare innanzitutto che la Proposta della Commissione così si esprime all’art. 4: “3. Gli Stati
membri adottano idonei strumenti economici per fornire incentivi per il rispetto della gerarchia dei rifiuti.”,
ma ciò non basta.


Analizzando con attenzione la nuova definizione, la prima cosa che balza agli occhi è che le parole “Diventati
rifiuti” sono sostituite da “che sono raccolti da un operatore riconosciuto per la preparazione per il riutilizzo
o da un sistema riconosciuto di cauzione‐rimborso”. Ciò significa innanzitutto che mentre attualmente la
preparazione per il riutilizzo risulta essere necessariamente un’operazione da svolgersi su “rifiuti” (e
bisognevole tutt’al più di una forma di autorizzazione decisamente più semplificata di quella necessaria per
il recupero, visto che gerarchicamente sta su un piano più elevato), questa definizione mantiene una certa
ambiguità sulla sostanza
originaria, che può essere dunque sia un rifiuto che un prodotto (o un suo componente), avendo però ben
più chiara la finalità, ovvero quella di favorire al massimo il re‐use («riutilizzo» qualsiasi operazione attraverso
la quale prodotti o componenti che non sono rifiuti sono reimpiegati per la stessa finalità per la quale erano
stati concepiti).


In entrambi i casi (rifiuti o prodotti) le condizioni per poter parlare di preparazione per il riutilizzo sono
dunque:


a) Le OPERAZIONI che si possono effettuare sono soltanto quella di “controllo, pulizia o riparazione
(lo “smontaggio” inserito nella definizione italiana mi sembra pleonastico in quanto è difficilmente
ipotizzabile svolgere le tre operazioni di cui sopra senza poter smontare l’oggetto in questione);
b) La RACCOLTA deve essere svolta: 1) da un gestore specificatamente RICONOSCIUTO o 2) da un
sistema RICONOSCIUTO di deposito cauzionale;
c) La PREPARAZIONE deve essere effettuata senza ulteriore pretrattamento ai fini del riutilizzo;
Dunque, la vera novità rispetto alla precedente definizione è quella di cui alla lett. B). Ma che cosa si intende
per “riconoscimento”? e chi lo rilascia? Sulla base di cosa? E poi: chi valuta l’effettività e l’efficienza di un
vero “Sistema di deposito cauzionale”?


E’ vero che di queste cose se ne dovrebbero occupare gli Stati membri, ma è altresì vero che l’esperienza ci
insegna che l’inerzia dei medesimi provoca danni incalcolabili, in particolare con riferimento agli obiettivi di
riutilizzo e riciclaggio (v. art. 11 e 11 bis) che gli stati membri dovranno raggiungere già entro il 2020 (v. art.
11 c. 2).


Pertanto proporrei di inserire nella definizione attualmente proposta un richiamo forte agli Stati membri per
rendere operativa nel minor tempo possibile questa disposizione dando tempi certi (p. es. 180 gg dal
recepimento della Dir.) per la realizzazione dei necessari Decreti che “dovranno” (non “potranno”) essere
emanati e passati al vaglio della stessa Commissione, alla luce del già citato c. 3 dell’art. 4 (“Gli Stati membri
adottano idonei strumenti economici per fornire incentivi per il rispetto della gerarchia dei rifiuti. Gli Stati
membri riferiscono alla Commissione in merito agli strumenti specifici messi in atto ai sensi del presente
paragrafo entro la data [inserire la data corrispondente a diciotto mesi dopo l’entrata in vigore della presente
Direttiva] e ogni cinque anni successivi a tale data”).


Inoltre si propone di eliminare il concetto di recupero dalla definizione di preparazione per il riutilizzo (visto
che si rivolge anche ai non rifiuti), definire su quali basisi opera il riconoscimento degli operatori o deisistemi,
disciplinare le modalità di tracciabilità dei “non rifiuti” che sono sottoposti alla preparazione per il riutilizzo e
integrare meglio questa attività con i programmi di prevenzione.


2) SOTTOPRODOTTI
L’attuale definizione “italiana” (sostanzialmente corrispondente, almeno nel c.1, a quella della Dir.
98/08/UE), così prescrive:

Art. 184‐bis (Sottoprodotto) D.L.vo n. 152/2006
1. E’ un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza
od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni:


a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e
il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;


b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di
produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;


c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso
dalla normale pratica industriale;


d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti
pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti
complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.


2. Sulla base delle condizioni previste al comma 1, possono essere adottate misure per stabilire criteri
qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano
considerati sottoprodotti e non rifiuti. All’adozione di tali criteri si provvede con uno o più decreti del
Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della
legge 23 agosto 1988, n. 400, in conformità a quanto previsto dalla disciplina comunitaria.

2‐bis. Il decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro
delle infrastrutture e dei trasporti 10 agosto 2012, n. 161, adottato in attuazione delle previsioni di cui
all’articolo 49 del decreto‐legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo
2012, n. 27, si applica solo alle terre e rocce da scavo che provengono da attività o opere soggette a
valutazione d’impatto ambientale o ad autorizzazione integrata ambientale. Il decreto di cui al periodo
precedente non si applica comunque alle ipotesi disciplinate dall’articolo 109 del decreto legislativo 3
aprile 2006, n. 152.


L’attuale proposta della commissione, invece, così modificherebbe tale definizione:

1. Gli stati membri assicurano che una sostanza od oggetto derivante da un processo di produzione, il cui
scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto non è considerata un rifiuto ma un
sottoprodotto se sono soddisfatte le seguenti condizioni:


a) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà ulteriormente utilizzata/o;

b) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzata/o direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso
dalla normale pratica industriale;

c) la sostanza o l’oggetto è prodotta/o come parte integrante di un processo di produzione e

d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti
pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti
complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.

2. La Commissione ha il potere di adottare atti delegati a norma dell’articolo 38a al fine di stabilire criteri
dettagliati sull’applicazione delle condizioni di cui al paragrafo 1 per sostanze o oggetti specifici.

3. Gli Stati membri comunicano alla Commissione le regole tecniche adottate ai sensi del paragrafo 1 in
conformità della Direttiva 2015/1535/CE del Parlamento e del Consiglio Europeo dove così richiesto da tale
Direttiva.


L’unica vera modifica riguarda sostanzialmente il coinvolgimento deisingoli Stati per assicurare l’applicabilità
effettiva di questa disposizione (“Gli Stati membri assicurano”), in quanto la nuova condizione c) di fatto era
già presente nella lett. a) della precedente definizione (“di cui costituisce parte integrante”). Tutto ciò
potrebbe persino essere pericolosamente interpretato come vi sia la necessità di una previa “assicurazione”
a livello nazionale per poter considerare uno scarto di produzione come un sottoprodotto, col rischio che in
futuro il detentore di un sottoprodotto dovrà gestirlo come un rifiuto fino a quando non venga ad essere
riconosciuto come sottoprodotto.


Alcune riflessioni:
a) Conferma della necessità che si tratti in origine di un processo di produzione;


b) onere probatorio (“certo”) dell’ulteriore utilizzo (re‐use) tout court, a prescindere da un “successivo
processo di produzione” (che abbiamo aggiunto solo noi)


c) rimane il delicato punto lett. b) relativo a cosa si intenda per “direttamente” e per “ulteriore trattamento
diverso dalla normale pratica industriale”.


Sarebbe probabilmente opportuno che tali termini possano essere maggiormente e più chiaramente
specificati per evitare distorsioni e diverse possibilità applicative nei vari Stati membri. Per esempio in Italia
la giurisprudenza tende praticamente a confondere la “normale” pratica industriale con “tal quale”. A livello
europeo l’unica linea guida in materia è ancora rappresentata dalla Comunicaz. UE n. 59/2007 elaborata
addirittura prima dell’entrata in vigore della Dir. 98/08/CE.
Pertanto è assai auspicabile che al più presto la Commissione agisca in virtù del c. 2 dell’art. 5, non solo con
riferimento a “sostanze o oggetti specifici”, per meglio garantire uniformità interpretativa ed applicativa.


3) RESPONSABILITA’ ESTESA DEL PRODUTTORE DEI RIFIUTI
Nonostante il fatto che non ci sia alcuna proposta di modifica dell’art. 15 (“Responsabilità della gestione dei
rifiuti”) ritengo sia opportuno prevedere qualche puntualizzazione, con particolare riferimento al c. 2.
“2. Quando i rifiuti sono trasferiti per il trattamento preliminare dal produttore iniziale o dal detentore e una
delle persone fisiche o giuridiche di cui al paragrafo 1, la responsabilità dell’esecuzione di un’operazione
completa di recupero o smaltimento di regola non è assolta. (“shall not be discharged as a general rule”).
Fatto salvo il regolamento (CE) n. 1013/2006, gli Stati membri possono precisare le condizioni della
responsabilità per l’intera catena di trattamento o in quali casi la responsabilità del produttore e del detentore
può essere condivisa o delegata tra i diversi soggetti della catena di trattamento”.


Tale norma:
‐ pone un principio generale ed inderogabile, in virtù del quale “Quando i rifiuti sono trasferiti per il
trattamento preliminare dal produttore iniziale o dal detentore ad una delle persone fisiche o giuridiche di
cui al par. 1[4], la responsabilità dell’esecuzione di un’operazione completa di recupero o smaltimento di
regola non è assolta” (par. 2);
‐ introduce una sorta di “opzione” per gli Stati membri, che “possono” precisare le condizioni della sopra
richiamata responsabilità, nonché decidere in quali casi il produttore originario conserva la responsabilità per
l’intera catena di trattamento, o in quali ipotesi la responsabilità del produttore e del detentore può essere
condivisa o delegata tra i diversi soggetti della catena di trattamento (par. 3).
La scelta effettuata dal legislatore italiano è stata quella di avvalersi di tale ultima facoltà mediante la
riscrittura dell’originario art. 188, che peraltro risulta inscindibilmente legato, quanto a contenuti (ed
operatività) al sistema SISTRI. Diverso è, per esempio, il caso della Francia, dove l’articolo L541‐2 del Code de
l’environment dispone più puntualmente che “Tout producteur ou détenteur de déchets est responsable de
la gestion de ces déchetsjusqu’à leur élimination ou valorisation finale, même lorsque le déchet est transféré
à des fins de traitement à un tiers”. E’ interessante notare che la normativa francese ha espressamente
introdotto, nel medesimo articolo, il principio in virtù del quale qualsiasi produttore o detentore di rifiuti è
tenuto ad assicurarsi che il soggetto terzo, al quale egli conferisce i propri rifiuti, sia a ciò debitamente
autorizzato. Il successivo articolo L541 prevede altresì la responsabilità solidale di chiunque consegni o faccia
consegnare dei rifiuti a un soggetto non autorizzato a prenderli in carico.
Con riferimento invece alla Spagna, si segnala che l’art. 17, comma 8 della Ley 28 luglio 2011, n. 22, si limita
a prevedere che la responsabilità del produttore dei rifiuti, nel caso in cui non realizzi esso stesso il
trattamento dei medesimi, cessa nel momento in cui egli affida i rifiuti ad un’impresa autorizzata al
trattamento, sempre che quest’ultima sia “documentalmente accreditata” e che rispetti completamente
tutti i requisiti previsti dalla legge. Non viene invece fatto cenno alla nozione di “intera catena di
trattamento”.
Nonostante il testo attualmente vigente dell’art. 188 T.U.A.sia per la maggior parte dei commentatori ancora
quello precedente alla riforma operata dal DLvo n. 205/2010 (e quindi non abbiamo ancora nel nostro
ordinamento la previsione di cui al riportato c. 2, in virtù del rimando ex art. 16 alla piena entrata in vigore
del SISTRI, attualmente ancora rinviata), il nuovo testo prevederebbe una serie di inconciliabili e pericolose
incongruenze e distorsioni anche sul piano della concorrenza e del mercato.
In particolare l’indeterminatezza di quei termini (“di regola”) e il fatto che si lasci ai singoli Stati il potere
(“possono precisare”) di stringere o allargare tale responsabilità non è – a nostro parere – conciliabile con
una reale politica uniforme ed efficace di co‐responsabilità della gestione dei rifiuti “dalla culla alla tomba”.
Per es. abbiamo già assistito persino ad una prima “pericolosa” pronuncia della Cassazione in materia (Cass.
Pen. n. 13025/14)
Tutti d’accordo – insomma – nel ritenere indispensabile un controllo della gestione dei rifiuti “dalla culla alla
tomba”, ma solo se il legislatore ponga in essere quelle indispensabili indicazioni “documentali” per rendere
effettivo questo sacrosanto principio, per evitare quello che era già successo con riferimento all’obbligo –
teorico – di dotarsi di un “certificato di avvenuto smaltimento” che sarebbe divenuto operativo solo se fosse
stato emanato uno specifico DM che – in realtà – non vide mai la luce.

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